Collaborazioni: la gestione del rapporto

Collaborazioni: la gestione del rapporto

03/03/2015

Nelle collaborazioni la gestione del rapporto è fondamentale. Essa abbraccia più livelli e tra questi trovo essenziali quello lavorativo e quello umano.  La difficoltà nella gestione di un rapporto lavorativo spesso sta nel fatto che non si tiene conto dell’elemento umano. Causa prima, secondo il mio modesto parere, è la scarsa conoscenza di sé stessi proprio sotto il profilo umano. Chi sono io? Che cosa voglio? Qual è il mio atteggiamento? Qual è il mio carattere?  Se una persona avesse modo di essere in costante contatto con sé stessa probabilmente i rapporti con famigliari ed amici in primis e poi via via quelli con i vari collaboratori, clienti e fornitori sarebbero di gran lunga qualitativamente migliori e forse più duraturi.

Essere poco chiari con sé stessi, riconoscere che vi è differenza tra l’obiettivo e il risultato che si ottiene, sentire un disallineamento tra i propri valori e come ci si muove verso la propria meta , crea disarmonia interiore. Una disarmonia che inevitabilmente porta a delle situazioni di conflitto interno che poi versa all’esterno estendendosi alle persone con le quali ci si confronta, inacerbendo il rapporto e minacciandone la durata.

Sto parlando di me e di come, nel corso di questi anni io abbia cambiato la mia visione delle cose. Su un piano lavorativo mi sono spesso trovato in situazioni dove si trattava di scegliere di collaborare con un cliente anche se alcuni segnali suggerivano di lasciar perdere. In quelle situazioni ho creduto di poter intraprendere un percorso e portare il cliente a superare alcuni suoi ostacoli “interiori”. Purtroppo sarebbe stato meglio seguire i segnali ed abbandonare l’impresa.

Quando una persona è confusa, ha la vista offuscata, il suo progetto di vita è stato pensato da terze persone, fa un lavoro e vorrebbe far tutt’altro, ricorre a scuse di qualsiasi tipo per esimersi dall’apprendere ed applicarsi in attività che oggi richiedono maggiori competenze e preparazione, la mia esperienza insegna che la collaborazione, il rapporto lavorativo, è destinato a chiudersi in breve tempo.

La cosa migliore che posso fare per me stesso in questi casi, quando mi si presentano, è ignorarli. Se mi ci avventuro è insuccesso certo. Un doppio insuccesso: il mio, per il tempo, per la dedizione, per la perdita d’immagine a causa di un cliente insoddisfatto e, infine,  le energie investite. Poi vi è quello del cliente, per i “costi” sostenuti e per gli scarsi risultati.

Gli ostacoli interiori restano tali se una persona decide di far nulla per rimuoverli. E io ho già i miei a cui pensare.

Desidero restare allineato ai miei valori, a ciò che mi fa sentir bene, per farlo cerco di essere sincero con me stesso e con chi mi circonda anche se, in molti casi, il rischio è di essere male interpretato.

Ora smetto di parlare di me e mi soffermo un attimo sulle dinamiche di rapporto lavorativo tra proprietà/direzione e collaboratori. Quando chi comanda, come sopra riportato, ha poco chiaro perché riveste quel ruolo, sente disarmonia interiore, è scontato che non possa interpretare la sua parte con passione.

Se penso alla quantità di persone che, stando a capo di aziende del mondo dell’ospitalità, dirigendo reparti con numeri anche elevati di collaboratori,  vivono conflitti più o meno evidenti con i propri collaboratori, comprendo ancora meglio il fatto che vi deve essere capacità nel comprendere il perché di una scelta. Probabilmente molti dei conflitti manifesti, con colleghi, partner, clienti ecc sono prima di tutto conflitti interiori non assecondati.

Perché un receptionist sceglie di lavorare in un hotel o un comis in un ristorante? La risposta che sovente mi viene data è perché la persona si sente timida e desidera confrontarsi con altra gente per vincere la propria timidezza. Peccato che la sua timidezza sia un fattore penalizzante al fine della migliore accoglienza e servizio al cliente. Un cliente può riservarsi di non parlare, di non sorridere, di non accogliere. Un receptionist o un comis no!

E chi ha colpa di questa situazione. Il collaboratore o chi lo ha assunto in quel ruolo?

Allora torniamo alla domanda di cui sopra: c’è chiarezza interiore? C’è chiarezza negli intenti? C’è chiarezza d’obiettivi? In molti casi no.

Un’azienda è l’immagine di chi la vive e più nello specifico di chi la governa. Quanti alberghi avete visto con personale attento, sorridente, pro-attivo, competente, capace e con una direzione/gestione assente, cupa, distaccata, incapace, quasi infastidita dall’essere chiamata in causa?

Io nessuno. Il personale è lo specchio del management.

In quelle aziende dove il turn over è alto o troppo basso c’è da farsi una domanda: come viene gestita l’azienda?

Se il turn over è alto, tralasciando quelle aziende che hanno una politica legata ad assunzioni “low cost” dove il personale, alla prima buona occasione, se ne va per un posto meglio retribuito, forse è anche per colpa del clima aziendale, ossia per una bassa qualità dei rapporti umani.

Quando tra proprietà/direzione e lo staff nascono spesso conflitti in molti casi io ci leggo una situazione di questo tipo. Si pretendono attività e modalità operative che nascono dal momento contingente, senza far riferimento ad una job description ed a un manuale di servizio.

Quando sento sbraitare perché questo o quel “dipendente” ha fatto la cosa sbagliata e magari si ritiene anche che non capisca nulla, mi chiedo: ma cosa ha fatto questo albergatore, ristoratore, direttore o capo reparto per indirizzarlo a fare la cosa giusta? Se la risposta è “glielo ho detto ieri”, allora questa è la risposta sbagliata!

I mansionari, le job description e i manuali operativi servono proprio per uniformare ad uno standard di servizio minimo anche quelle persone che, sebbene nella vita avrebbero voluto far tutt’altro, per lo meno, da che le si ha come collaboratori, possano parlare e atteggiarsi secondo regole, modi e stile condiviso.

Nelle collaborazioni la gestione del rapporto è fondamentale. In una qualsiasi azienda, il nuovo collaboratore viene a comunicare inizialmente con il resto dello staff ed il management attraverso un piano prettamente lavorativo. Man mano che il tempo passa, il rapporto dovrebbe scendere ad un livello più umano.  Cosa intendo per umano? Un rapporto in cui il manager conosca la persona con la quale collabora non solo per il suo grado di efficienza e competenza ma anche a livello caratteriale, quali sono le sua aspirazioni, i suoi hobby, le sue passioni.  Mediamente un turno di lavoro dura 8 ore, il che significa 40 ore lavorative settimanali su un totale di 168 ciò il 23 % circa. E cosa anima quella persona nel restante 77% a parte il riposo?  Ci sono talenti inespressi che potrebbero tornare utili all’azienda. Ci sono segnali che dicono che su una persona piuttosto che un’altra è conveniente investire?

Trovare delle affinità e coltivarle è certamente un modo per circondarsi di persone che con noi risuonano e perdere strada facendo chi ha interessi diversi. Anzi, forse questo tipo di persone non si avvicinerà nemmeno più in futuro.

Per questo credo che ci deve essere chiarezza interiore, integrità. Ogni giorno io mostro a me stesso ed agli altri chi io sono. Io cambio rotta, cambio orizzonte, cambio mezzo, cambio credo ma i miei valori restano con me.

Buon lavoro e buon divertimento

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